El
Siglo XX nos ha dejado un campo de reflexión, hasta ahora nunca
superado por otros anteriores. Por su complejidad. En él confluyeron
sentimientos de lo más encontrados. Desde la esperanza hasta la
frustración. Desde la tiranía y la muerte hasta la resistencia
militante. A todos los niveles. Un siglo perdido para muchos. Un siglo
por recuperar para otros. No sólo en el terreno político y social. Las
diferentes posiciones teóricas y las propuestas de acción que, a menudo
conllevaban, han generado manifestaciones culturales asimismo diversas.
Desde la estética a la literaria y artística. Con evidente repercusión
en otras esferas de la vida cotidiana. La recíproca contaminación de
ambas esferas no siempre fue visible. Si bien fue registrada por los
pensadores del momento.
Rastrear
en este inmediato pasado sólo es posible repensando a sus
protagonistas. A través del patrimonio que hemos heredado, de las
huellas que éstos han dejado. Volver al tiempo de la creatividad
intelectual de cada uno de ellos es, de alguna manera, dejar en
suspenso la perspectiva desde la que ahora nos es posible hacerlo. Es
decir, nuestro convulsivo tiempo, que regula una compleja red de
información que venimos en llamar medios. Especialmente la dictadura de
los mensajes y discursos televisivos. Que ha contaminado, a su vez, a
la Universidad, cuestionando su función tradicional y redefiniendo el
oficio de sus profesores e investigadores, generando expectativas
profesionales para un futuro incierto.
Situarse
en el tiempo de los protagonistas es, sin embargo, tarea difícil. Pero
no imposible. Difícil, especialmente, porque esos tiempos no eran
vividos de la misma manera por todos ellos. Es necesario hacer obra de
ingeniería. Separar el tiempo real del tiempo psicológico y emotivo.
Pero, paralelamente, es necesario separar los nuestros. Más confusos e
inseguros, aún si cabe, que los de ellos.
El
Siglo XX nos ha dejado también una estructura económica y social aún no
consolidada. Y en crisis permanente. Una globalización que emerge al
ritmo de egoístas intereses, geográfica y culturalmente horizontales,
Pero con trágica repercusión y efectos a nivel vertical. Especialmente
hacia el Sur.
La
legitimación se llama ahora participación. Más simbólica que real.
Porque es desigual la distribución de los beneficios, ahondando la
brecha entre minorías que se enriquecen ostentosamente a costa del
empobrecimiento progresivo de la gran mayoría. Pero que convierte en
cómplices a esa masa anónima de votantes que, eso sí, legitiman un
sistema económico-político injusto, que se llama democracia. Tener
derechos es un logro. Pero no todos pueden hacer valer esos derechos
formales en igualdad de condiciones y con similar eficacia y resultados.
El
compromiso de los intelectuales y académicos debe ser ahora más
manifiesto y militante. Haciendo norma de la responsabilidad. Un
pensador que piensa en libertad no sería una pasión inútil. Si respeta
las “reglas del juego”. Es decir, una investigación científicamente
sólida. Que es lo mismo que recuperar eso que a lo largo del Siglo XX
se llamó “función social de la ciencia”.
Se
llama postmoderno a este tipo de visión y práctica. Pero se califica
este quehacer desde una supuesta modernidad que no siempre es soporte
de lo que llamamos postmoderno. La pérdida de identidad. Ése es el
destino de nuestro tiempo. Al que hay que seguir haciendo frente.
Precisamente ahora. Pérdida de identidad. No saber siquiera qué es
dignidad. Qué integridad. Europa es el escenario. Testigo y cómplice de
la barbarie. Responsable de la tragedia.
El
pensamiento crítico es ahora, necesariamente, pensamiento a la
defensiva. Clandestino, si es preciso. Resistente. Combativo. Si quiere
ser coherente. Estar al servicio de una sociedad cada vez más perpleja,
cada día más indecisa, insegura e indeterminada. Y que calificamos como
postmoderna.
Para
ello hay que ser valientes y denunciar la censura invisible de los
medios. Instrumento de poder que controlan los poderosos. Censura
invisible de las imágenes y discursos de la televisión, que han herido
de muerte no sólo a la percepción estética y literaria de la
ciudadanía. Mucho más grave es aún que el sometimiento demagógico de
los medios a un deshumanizado plebiscito comercial haya también herido
de muerte a la política, la justicia y la ciencia. Esto convierte la
noticia, cualquier noticia, en una anécdota preocupante, pero que
desaparece cuando, horas después, esa noticia deje de ser portada. Por
muy trágica e impactante que nos haya resultado. Grave es que esa
censura también contamine los espacios para la reflexión, teórica y
práctica, que sólo puede ser efectiva si se hace en libertad.
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Il
ventesimo secolo ci ha lasciato un campo di riflessione inconcluso. Un
secolo attraversato da sentimenti molto contrastanti: dalla speranza
alla frustrazione, dalla tirannia e la morte alla resistenza militante.
Un secolo “perso” per molti. Un secolo da “recuperare” per altri. Non
solo sul piano politico e sociale. Le diverse posizioni teoriche e le
proposte di azione hanno, spesso, generato a loro volta differenti
manifestazioni culturali. Dal campo estetico a quello della letteratura
e dell’arte: ciò ha avuto un impatto evidente anche su altri ambiti
della vita quotidiana. Tale fenomeno di contaminazione, che non sempre
risultava visibile non è, però, sfuggito ai pensatori dell’epoca.
Tracciare
un’analisi di questo secolo passato è possibile solo ripensando ai suoi
protagonisti attraverso il patrimonio che abbiamo da loro ereditato e
attraverso le tracce che ci hanno lasciato. Tornare al tempo della
creatività intellettuale di ciascuno di loro significa, in qualche
modo, abbandonare la nostra prospettiva, il nostro tempo convulso che
regola una complessa rete di informazioni che chiamiamo media.
Sopratutto la dittatura dei messaggi e dei discorsi televisivi che ha
contaminato, a sua volta, l’Università mettendo in discussione la sua
tradizionale funzione e ridefinendo il ruolo di professori e
ricercatori, generando aspettative professionali per un futuro incerto.
Collocarsi
nella prospettiva dei protagonisti del secolo scorso è, tuttavia, un
compito difficile. Ma non impossibile. Difficile, soprattutto perché
quei tempi non sono stati vissuti allo stesso modo da tutti. Per farlo
è necessario compiere un’opera di ingegneria. Separare il tempo reale
dal tempo psicologico ed emotivo. Allo stesso tempo è necessario
separare anche il nostro, più confuso e incerto, se possibile, del loro
tempo.
Il
XX secolo ci ha, inoltre, lasciato una struttura economica e sociale
non ancora consolidata. E in crisi permanente. Una globalizzazione che
si caratterizza da interessiegoistici, geograficamente e culturalmente
orizzontali, ma con tragiche ripercussioni ed effetti a livello
verticale. Sopratutto nei confronti del Sud.
La
legittimità è ora chiamata partecipazione. In senso più simbolico che
reale. Questo perchè la distribuzione diseguale dei benefici
amplia il divario tra una minoranza che si arricchisce ostentatamente a
scapito del progressivo impoverimento della maggioranza. Tale fenomeno
trasforma in complici la massa anonima di elettori che, in questo caso,
legittimano un sistema economico e politico ingiusto che si chiama
democrazia formale. Possedere diritti è una conquista. Ma non tutti
possono rivendicare diritti formali in condizioni di uguaglianza e a
partità di efficacia.
L'impegno
degli intellettuali e degli accademici dovrebbe essere ora più visibile
e militante. Facendo uso di un criterio di responsabilità. Un pensatore
che pensa liberamente non è mai una passione inutile. Se si rispettano
le «regole del gioco». Se, cioè, si realizza una ricerca
scientificamente valida. Il che significa riprendere l’idea
della"funzione sociale della scienza" che ha attraversato tutto il XX
secolo.
Si
definisce postmoderna questa visione e questa pratica. Ma tale
impostazione è segnata da una presunta modernità che non sempre è di
sostegno a ciò che chiamiamo postmoderno. La perdita dell’identità:
questo è il destino del nostro tempo al quale è necessario far fronte.
Proprio adesso. Perdita di identità. Non sapere nemmeno cosa sia la
dignità. Cosa l’integrità. L’Europa è lo scenario. Testimone e complice
della barbarie. Responsabile della tragedia.
Il
pensiero critico è ora necessariamente un pensiero sulla difensiva.
Clandestino. Resistente. Combattivo. Se vuol essere coerente. Per
essere al servizio di una società sempre più complessa e ogni giorno
più indecisa, insicura e indeterminata. E che definiamo come
postmoderna.
Per
fare questo bisogna essere coraggiosi e denunciare la censura
invisibile dei media. Uno strumento del potere controllato dai potenti.
Una censura invisibile delle immagini e dei discorsi della televisione
che ha ferito a morte non solo la percezione estetica e letteraria
della cittadinanza. Molto più grave risulta l’asservimento demagogico
dei media ad un disumanizzante plebiscito commerciale che a sua volta
ha ferito a morte la politica, la giustizia e la scienza. Ciò significa
che una notizia, qualunque notizia, è un episodio allarmante, che però
scompare di colpo quando qualche ora dopo la stessa notizia
smette di essere riportata dai media. Per quanto tragica e sconvolgente
ci sia sembrata. È grave che questa censura possa contaminare anche gli
spazi di riflessione, teoria e pratica; una riflessione che può essere
effettiva solo se si realizza in condizioni di libertà.
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